Doppia linea di tradizione
Sui rapporti tra cultura cosiddetta alta e cultura cosiddetta bassa (o popolare) ci sono tonnellate di studi. Vorrei fare un paio di considerazioni che mi sono venute in mente di recente, tanto per cambiare a proposito di musica.
Spesse volte capita di sentire discorsi da parte di melomani che per darsi un tono si danno all'ascolto dei capolavori di musica classica, magari anche con cognizione di causa; tuttavia, quando si va a toccare l'argomento della seconda tradizione, quella semplice e popolare, c'è una sorta di chiusura a riccio, di non considerazione della possibile importanza. Dico questo perché talora capita anche di leggere eminenti studiosi che però arrivano finanche a disprezzare esplicitamente qualcosa di cui, probabilmente, quasi nulla conoscono. Così chi oggi vuole con intelligenza nobilitare un genere nato in maniera ingenua e spontanea viene talvolta accantonato per semplice partito preso. Capita per esempio con la musica moderna, che per moltissimi aficionados delle sale da concerto e dei loggioni è porcheria degenerata tout court. Invece, come in qualsiasi cosa, c'è sì la porcheria, ma ci sono delle perle di importanza e rilevanza notevolissima ai fini dello sviluppo e della ricerca musicale. E, come per altri generi, sarebbe indispensabile arrivare a dei criteri di discernimento. Di questo si parlava qualche tempo fa con Aislinn; mi pare che si convenisse sul fatto che fissare dei criteri assoluti non è così semplice. Quantomeno però bisogna avere delle direttive, sennò tutto diventa accettabile, il che è contrario all'obiettivo di partenza.
Però, ad esempio, il jazz è stato a più riprese bollato dall'accusa di degenerazione. Anche lì, tutto nel calderone e via a invettive rabbiose contro la "musica dei negri" (sic!). Vorrei vedere, tuttavia, un certo numero di persone improvvisare su Giant steps di Coltrane con una misura artistica ed estetica non dico la metà, non dico un terzo, ma un decimo di quanto faceva Coltrane stesso. Oppure non so, mi rifiuto di credere che un musicista non possa apprezzare l'Ouverture di A passion play dei Jethro Tull: non ci sarà tutta la precisione e il rigore del contrappunto severo, però il tema del flauto è rivoltabile e difatti nella frase successiva passa al basso. La scrittura è di chi non ha solo orecchiato il concetto, ma quantomeno, seppur forse solo intuitivamente, ha cercato un'applicazione seria del medesimo.
Ah, dimenticavo: spesso i musicisti quelli veri si sono dimostrati molto più tranquillamente interessati, con intelligenza e sincerità, alla tradizione popolare. Devo agevolare qualche esempio? Dico i primi che mi vengono in mente.
1) Bach, proprio alla fine delle sue Variazioni Goldberg BWV 988, mette come trentesima variazione prima dell'Aria da capo un Quodlibet. Il genere del Quodlibet consisteva nell'inserire una o più melodie popolari all'interno di una composizione; quando i musicisti barocchi si trovavano in compagnia, spesso usavano eseguire e cantare Quodlibet improvvisati, su temi di ballate popolari, canzonette, canzoni da osteria (!). Nella fattispecie delle Goldberg, la variazione conclusiva contiene due temi popolari: Ich bin so lang nicht bei dir g'west ("Sono stato così a lungo distante da te") e Kraut und Ruben ("Crauti e biete"). Leggetevi l'ampio e dettagliatissimo saggio di Thomas Braatz.
2) Liszt nelle Rapsodie ungheresi riprende temi popolari del proprio paese d'origine, li trascrive per pianoforte, aggiunge la propria maestria compositiva e una dose non indifferente di difficoltà tecniche, e il gioco è fatto.
3) Mozart scrisse variazioni su temi popolari: famosissime quelle sulla canzoncina francese del XVIII° secolo Ah! Vous dirai-je, maman! K 265, ma ci sono anche cicli sui temi Wilhelm van Nassau (K 25), La belle francoise (K 353) o Ein Weib ist das herrlichste Ding (K 613).
4) Brahms nelle Danze ungheresi fece un lavoro simile a quello di Liszt. Si vede che i temi ungheresi erano particolarmente interessanti per i musicisti ottocenteschi! E, a sentire le realizzazioni, probabilmente ne avevano anche di ben d'onde.
5) Questa mi è particolarmente cara: Handel in una delle sue Suites per tastiera (la n. 5, in Mi maggiore) dopo un preludio, un'allemanda e una corrente inserisce un'Aria con variazioni il cui tema, secondo un aneddoto, avrebbe un'origine singolare. Si racconta infatti che Handel, passeggiando per una via, abbia udito un fabbro che, mentre batteva il ferro, canticchiava (o fischiettava) questa melodia. Favorevolmente colpito dal tema, lo memorizzò e se lo annotò, scrisse l'armonizzazione dandogli veste, per l'appunto, di aria, aggiunse cinque double di difficoltà crescente e sempre più movimentati e ottenne il finale per la suddetta suite. L'aneddoto è apocrifo e non si sa quanto attendibile; sta di fatto che l'aria è tradizionalmente chiamata Il fabbro armonioso! Vero o non vero, Handel con questo movimento scrisse una delle pagine più interessanti del repertorio barocco per tastiera.
Spesse volte capita di sentire discorsi da parte di melomani che per darsi un tono si danno all'ascolto dei capolavori di musica classica, magari anche con cognizione di causa; tuttavia, quando si va a toccare l'argomento della seconda tradizione, quella semplice e popolare, c'è una sorta di chiusura a riccio, di non considerazione della possibile importanza. Dico questo perché talora capita anche di leggere eminenti studiosi che però arrivano finanche a disprezzare esplicitamente qualcosa di cui, probabilmente, quasi nulla conoscono. Così chi oggi vuole con intelligenza nobilitare un genere nato in maniera ingenua e spontanea viene talvolta accantonato per semplice partito preso. Capita per esempio con la musica moderna, che per moltissimi aficionados delle sale da concerto e dei loggioni è porcheria degenerata tout court. Invece, come in qualsiasi cosa, c'è sì la porcheria, ma ci sono delle perle di importanza e rilevanza notevolissima ai fini dello sviluppo e della ricerca musicale. E, come per altri generi, sarebbe indispensabile arrivare a dei criteri di discernimento. Di questo si parlava qualche tempo fa con Aislinn; mi pare che si convenisse sul fatto che fissare dei criteri assoluti non è così semplice. Quantomeno però bisogna avere delle direttive, sennò tutto diventa accettabile, il che è contrario all'obiettivo di partenza.
Però, ad esempio, il jazz è stato a più riprese bollato dall'accusa di degenerazione. Anche lì, tutto nel calderone e via a invettive rabbiose contro la "musica dei negri" (sic!). Vorrei vedere, tuttavia, un certo numero di persone improvvisare su Giant steps di Coltrane con una misura artistica ed estetica non dico la metà, non dico un terzo, ma un decimo di quanto faceva Coltrane stesso. Oppure non so, mi rifiuto di credere che un musicista non possa apprezzare l'Ouverture di A passion play dei Jethro Tull: non ci sarà tutta la precisione e il rigore del contrappunto severo, però il tema del flauto è rivoltabile e difatti nella frase successiva passa al basso. La scrittura è di chi non ha solo orecchiato il concetto, ma quantomeno, seppur forse solo intuitivamente, ha cercato un'applicazione seria del medesimo.
Ah, dimenticavo: spesso i musicisti quelli veri si sono dimostrati molto più tranquillamente interessati, con intelligenza e sincerità, alla tradizione popolare. Devo agevolare qualche esempio? Dico i primi che mi vengono in mente.
1) Bach, proprio alla fine delle sue Variazioni Goldberg BWV 988, mette come trentesima variazione prima dell'Aria da capo un Quodlibet. Il genere del Quodlibet consisteva nell'inserire una o più melodie popolari all'interno di una composizione; quando i musicisti barocchi si trovavano in compagnia, spesso usavano eseguire e cantare Quodlibet improvvisati, su temi di ballate popolari, canzonette, canzoni da osteria (!). Nella fattispecie delle Goldberg, la variazione conclusiva contiene due temi popolari: Ich bin so lang nicht bei dir g'west ("Sono stato così a lungo distante da te") e Kraut und Ruben ("Crauti e biete"). Leggetevi l'ampio e dettagliatissimo saggio di Thomas Braatz.
2) Liszt nelle Rapsodie ungheresi riprende temi popolari del proprio paese d'origine, li trascrive per pianoforte, aggiunge la propria maestria compositiva e una dose non indifferente di difficoltà tecniche, e il gioco è fatto.
3) Mozart scrisse variazioni su temi popolari: famosissime quelle sulla canzoncina francese del XVIII° secolo Ah! Vous dirai-je, maman! K 265, ma ci sono anche cicli sui temi Wilhelm van Nassau (K 25), La belle francoise (K 353) o Ein Weib ist das herrlichste Ding (K 613).
4) Brahms nelle Danze ungheresi fece un lavoro simile a quello di Liszt. Si vede che i temi ungheresi erano particolarmente interessanti per i musicisti ottocenteschi! E, a sentire le realizzazioni, probabilmente ne avevano anche di ben d'onde.
5) Questa mi è particolarmente cara: Handel in una delle sue Suites per tastiera (la n. 5, in Mi maggiore) dopo un preludio, un'allemanda e una corrente inserisce un'Aria con variazioni il cui tema, secondo un aneddoto, avrebbe un'origine singolare. Si racconta infatti che Handel, passeggiando per una via, abbia udito un fabbro che, mentre batteva il ferro, canticchiava (o fischiettava) questa melodia. Favorevolmente colpito dal tema, lo memorizzò e se lo annotò, scrisse l'armonizzazione dandogli veste, per l'appunto, di aria, aggiunse cinque double di difficoltà crescente e sempre più movimentati e ottenne il finale per la suddetta suite. L'aneddoto è apocrifo e non si sa quanto attendibile; sta di fatto che l'aria è tradizionalmente chiamata Il fabbro armonioso! Vero o non vero, Handel con questo movimento scrisse una delle pagine più interessanti del repertorio barocco per tastiera.
1 Comments:
Ottimo argomento, numerosi gli spunti di riflessione e curiosità che si possono affrontare e soddisfare a riguardo... di recente mi sono imbattuto proprio su questa questione, tra le altre, durante la preparazione del mio ultimo simpatico esame di filosofia (oggetto del corso era, più in generale, la Scuola di Francoforte).
A grandi linee quello che mi era venuto in mente, sotto forma piuttosto "nebulosa" a dire il vero, si fondava sull'apparizione notturna (?) di una sorta di triangolo concettuale (?!!): siccome, però, ho compreso proprio ora, cercando di rappresentarlo così come mi sembra di ricordarlo, che quel triangolo in realtà non sta affatto in piedi (!), lo lascio perdere e ritornare nelle regioni nebulose che gli sono proprie, evitandoti ogni ulteriore dettaglio.
In sostanza, comunque, l'idea di fondo era quella dell'inganno; credo che la cultura popolare sia senza dubbio da tenere in conto, da studiare, da apprezzare nelle sue espressioni più riuscite e originali, in base a quei criteri di discernimento a cui hai giustamente accennato; e, in questo caso, anche il rapporto con la cultura "alta" può diventare innegabilmente virtuoso (ottimi, come sempre precisi e dettagliati i tuoi esempi in campo musicale, a me la prima cosa che viene in mente è un Plauto, per dare l'idea e spaziare in altri generi e tempi, no?); ma attenzione, dicevo dell'inganno: essenzialmente vedo il rischio che si attribuisca il carattere di popolare a ciò che in apparenza vuole proporsi come tale ma di fatto è di diversa matrice, intuisco l'idea di un'espressione genuina contrapposta a una corrotta, falsa, ingannevole; mi sembra che la prima stia mano a mano cedendo il passo alla seconda. Il problema, in tutto questo, è che non riesco a dare una forma più concreta a questa sensazione, e mi viene il dubbio che a monte ci sia solo il problema di definire chiaramente cosa si intenda per "popolare" e come il concetto sia cambiato nel tempo, soprattutto negli ultimi decenni, ma non solo; non vorrei cadere nell'imbarazzo di un'idea indistinta di "popolo genuino" a cui si contrapponga una non meglio precisata "corruzione", non è questo che intendo, ma ritengo un punto fermo che da una manifestazione genuina sorga quel rapporto virtuoso di cui sopra, mentre da una ingannevole dipenda senza scampo l'appiattimento dell'originalità e del pensiero; dunque credo che soprattutto su questi due caratteri si giochi in fin dei conti la valutazione.
Altro appunto, collegato in qualche modo a quanto detto fin qui: se ho ben capito dalle letture varie in merito, la relazione tra cultura alta e bassa ha cominciato a creare i maggiori crucci teorici nel momento in cui l'artista passa da "stipendiato" dal suo mecenate a "libero professionista" (bruttine come definizioni, ma per dare l'idea...): vendersi con banalità che magari hanno in superficie più rapido successo di pubblico o rischiare di non portare a casa il pane puntando su qualcosa di più raffinato ma anche complesso? Che ruolo attribuire all'arte e in parallelo ai gusti del pubblico, reali o presunti? Da qui parte un po' anche l'idea dell'inganno, direi...
Beh con tutto ciò mi rammarico di non riuscire mai a fare interventi abbastanza mirati e sistematici, perdendomi perlopiù proprio in quelle nebulose da cui ero partito (ti incuriosisce il triangolo, eh...?); se mai trovassi qualche spunto valido da poter chiarire sarò felice di leggere una tua risposta...
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