Mani da pianista pt. 4
A grande richiesta... della Fata delle rose (!!!), andiamo col quarto capitolo in tal modo intitolato. Sarà l'ultimo? Boh, per ora sì. Allora, riporto alcune interessantissime affermazioni di Alfredo Casella a proposito della didattica del pianoforte, riguardanti nello specifico il rapporto tra la mano e la tastiera e la risoluzione dei problemi che possono insorgere nella correlazione tra questi due elementi. Casella, eccellente pianista e maestro tra i migliori di tutti i tempi (e anche compositore!), pur con un approccio diverso da Neuhaus e con una mentalità più tradizionalista, mostra al lettore un differente punto di vista sulla questione, il che non può che essere di arricchimento per l'aspirante strumentista. Alcune cose che dice sembrano davvero condivisibili e dovrebbero essere comunicate a tutti coloro che si fanno troppi problemi a proposito della tecnica strumentale pura. La musicalità, ahimè, è un'altra cosa e mi sa che nessuno la può letteralmente insegnare a un altro; ritengo che, se non si ha, la si può acquisire solo auto-insegnandosela attraverso la formazione della sensibilità. Ma sto divagando.
Prima di tutto, una rara e bella (nonostante la scarsa qualità tecnica della scansione) foto dell'Alfredo, qui ritratto (a sinistra) in compagnia di Ottorino Respighi (a destra):
Il testo qui sotto riportato è tratto da: Alfredo Casella, Il pianoforte, Ricordi, Milano, 1954, pp. 92-94.
"Suonare il pianoforte non è affatto quella cosa misteriosa e arcana che vorrebbero far credere coloro che non lo sanno adoperare. L'esecuzione pianistica riposa su pochissimi principi fondamentali ed essenziali di grande semplicità, i quali, beninteso, variano caso per caso nella loro applicazione a seconda degli individui che madre natura on si stanca mai di produrre l'uno diverso dall'altro. Nel pianoforte, contrariamente a quanto succede nell'invisibile ugola del cantante, tutto avviene alla luce del sole e la tastiera accusa sempre la causa di ogni difficoltà. Non vi è problema che non si risolva dopo un attento studio razionale e logico della combinazione mano-tastiera. Questa caratteristica dei problemi pianistici è tanto palese che Busoni mi raccontava un giorno di non aver mai risolto i suoi maggiori problemi pianistici al pianoforte, ma di averli risolti passeggiando, oppure in ferrovia o persino in tranvia.
Stabiliamo adesso un primo principio essenziale: quello che consiste nel considerare la tecnica pianistica non come un risultato irriflesso e puramente fisico di un membro del corpo, ma invece come la conseguenza di una pura attività spirituale. Vale a dire che bisogna rinunciare definitivamente a credere che le dita abbiano una loro vita propria e indipendente, ma che dobbiamo invece considerarle come una parte del corpo che obbedisce unicamente alla volontà del cercello. Dunque, proclamiamo senz'altro la cerebralità della tecnica pianistica, e in pari tempo esaltiamone l'indispensabile e altissimo valore spirituale. Come ben disse Saint-Saens, è solamente per mezzo d'una tecnica trascendentale che l'interprete può evadere dalla realtà circostante per decollare verso le sfere della spiritualità e della vera arte (se non fosse qui fuori luogo, scioglierei identico inno alla tecnica del compositore, la quale, parimenti a quella dell'interprete, può sola permettere al creatore di realizzare ogni sua fantasia e di dare forma concreta all'irreale dell'intuizione artistica).
Questo significa che, nell'esecuzione pianistica, ogni nota prodotta deve risultare da uno sforzo della volontà. Vale a dire, che qualunque sia la rapidità del tempo e la quantità delle note da suonarsi in un deteminato periodo, ognuna di quelle dovrà essere stata, in un certo qual modo, filtrata attraverso il cervello. [...]
Aggiungerò poi che, oltre che cerebrale, la tecnica del nostro strumento è anche morale. Voglio alludere con questo alla enorme importanza che hanno nella pratica virtuosistica del pianoforte i fattori fiducia, calma, pazienza. Senza fiducia nei propri mezzi non si può parlare mai di raggiungere un certo grado di bravura. Senza calma non si supera nessun problema. E la pazienza, infine, oltre a essere la metà del genio [...], è anche la condizione prima ed essenziale per lo studio e per la soluzione di qualsiasi problema, piccolo o grande che sia. Insomma, diciamo senz'altro che lo studio della tecnica (che abbiamo definito come di natura puramente spirituale) deve essere costantemente accompagnato da un sano e solido senso di ottimismo, non certo di quell'ottimismo che svaluta «beatamente» ogni difficoltà, ma di quello invece che nasce dalla coscienza dei propri mezzi e della propria volontà."
Detto per inciso, Ferruccio Busoni aveva un'impostazione generale spaventosamente ottimale, come si evince dalla seguente foto:
Notare l'azione del pollice (mano sx) con posizione distesa delle dita, ma d'altro canto la curvatura ottimale delle dita alla mano dx laddove si richiede un'azione in maggior affondo tra i tasti.
Prima di tutto, una rara e bella (nonostante la scarsa qualità tecnica della scansione) foto dell'Alfredo, qui ritratto (a sinistra) in compagnia di Ottorino Respighi (a destra):
Il testo qui sotto riportato è tratto da: Alfredo Casella, Il pianoforte, Ricordi, Milano, 1954, pp. 92-94.
"Suonare il pianoforte non è affatto quella cosa misteriosa e arcana che vorrebbero far credere coloro che non lo sanno adoperare. L'esecuzione pianistica riposa su pochissimi principi fondamentali ed essenziali di grande semplicità, i quali, beninteso, variano caso per caso nella loro applicazione a seconda degli individui che madre natura on si stanca mai di produrre l'uno diverso dall'altro. Nel pianoforte, contrariamente a quanto succede nell'invisibile ugola del cantante, tutto avviene alla luce del sole e la tastiera accusa sempre la causa di ogni difficoltà. Non vi è problema che non si risolva dopo un attento studio razionale e logico della combinazione mano-tastiera. Questa caratteristica dei problemi pianistici è tanto palese che Busoni mi raccontava un giorno di non aver mai risolto i suoi maggiori problemi pianistici al pianoforte, ma di averli risolti passeggiando, oppure in ferrovia o persino in tranvia.
Stabiliamo adesso un primo principio essenziale: quello che consiste nel considerare la tecnica pianistica non come un risultato irriflesso e puramente fisico di un membro del corpo, ma invece come la conseguenza di una pura attività spirituale. Vale a dire che bisogna rinunciare definitivamente a credere che le dita abbiano una loro vita propria e indipendente, ma che dobbiamo invece considerarle come una parte del corpo che obbedisce unicamente alla volontà del cercello. Dunque, proclamiamo senz'altro la cerebralità della tecnica pianistica, e in pari tempo esaltiamone l'indispensabile e altissimo valore spirituale. Come ben disse Saint-Saens, è solamente per mezzo d'una tecnica trascendentale che l'interprete può evadere dalla realtà circostante per decollare verso le sfere della spiritualità e della vera arte (se non fosse qui fuori luogo, scioglierei identico inno alla tecnica del compositore, la quale, parimenti a quella dell'interprete, può sola permettere al creatore di realizzare ogni sua fantasia e di dare forma concreta all'irreale dell'intuizione artistica).
Questo significa che, nell'esecuzione pianistica, ogni nota prodotta deve risultare da uno sforzo della volontà. Vale a dire, che qualunque sia la rapidità del tempo e la quantità delle note da suonarsi in un deteminato periodo, ognuna di quelle dovrà essere stata, in un certo qual modo, filtrata attraverso il cervello. [...]
Aggiungerò poi che, oltre che cerebrale, la tecnica del nostro strumento è anche morale. Voglio alludere con questo alla enorme importanza che hanno nella pratica virtuosistica del pianoforte i fattori fiducia, calma, pazienza. Senza fiducia nei propri mezzi non si può parlare mai di raggiungere un certo grado di bravura. Senza calma non si supera nessun problema. E la pazienza, infine, oltre a essere la metà del genio [...], è anche la condizione prima ed essenziale per lo studio e per la soluzione di qualsiasi problema, piccolo o grande che sia. Insomma, diciamo senz'altro che lo studio della tecnica (che abbiamo definito come di natura puramente spirituale) deve essere costantemente accompagnato da un sano e solido senso di ottimismo, non certo di quell'ottimismo che svaluta «beatamente» ogni difficoltà, ma di quello invece che nasce dalla coscienza dei propri mezzi e della propria volontà."
Detto per inciso, Ferruccio Busoni aveva un'impostazione generale spaventosamente ottimale, come si evince dalla seguente foto:
Notare l'azione del pollice (mano sx) con posizione distesa delle dita, ma d'altro canto la curvatura ottimale delle dita alla mano dx laddove si richiede un'azione in maggior affondo tra i tasti.
1 Comments:
Ho letto velocemente ciò che riporti...che dire! Hai commentato un mio post su http://loggione.splinder.com centrando in pieno il mio pensiero, ma noto che tu sei un professionista..io solo un semplice cultore-appassionato-malato di musica classica. Imparerò molto dal tuo blog... nel tempo libero (faccio l'operaio e ne ho ben poco).
Post a Comment
<< Home