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Thursday, June 15, 2006

Una lettera di Freud

Trascrivo oggi una curiosa e indicativa lettera di Sigmund Freud, autore conosciuto anche al grande pubblico e giustamente famoso per la sua rivoluzionaria teoria psicoanalitica e, si può dire, per l'effettiva e sistematica scoperta della psiche umana. Oltre che come medico e scienziato, data la portata interdisciplinare delle sue scoperte è considerato uno dei principali filosofi novecenteschi (per quanto lui certo non ambisse a tale titolo!). I suoi scritti, oltre che essere di capitale importanza tecnica e medica, posseggono uno stile alquanto personale, accattivante e anche piuttosto simpatico! Il genio, probabilmente, si riconosce anche da questi tratti.
Del tutto privo di falsa modestia, sapeva riconoscere le proprie qualità e non nascondeva di esserne contento e orgoglioso, ma era anche perfettamente consapevole dei propri limiti, seppure a detta di molti esagerando la sottostima intellettiva di sé. Ma forse lui si sentiva così, e quando ciò accade - credo di non dire un'eresia - non è che ci si possa fare molto. Era un realista e la vedeva in questo modo. Riteneva di possedere capacità intellettuali di modesta entità, specialmente in certi campi del sapere. Ma più sintomatica di tutte le spiegazioni date da terzi è la lettera cui accennavo prima, in cui Freud risponde all'amico neurologo statunitense James Jackson Putnam, a proposito del libro Motivi umani, èdito da Putnam nel 1915. La missiva contiene spunti di riflessione di notevole interesse: Freud, fuori dall'ambito strettamente scientifico, lascia intendere sinteticamente i suoi personali punti di vista su questioni di una certa delicatezza. Parla di un "(anti-)timor di Dio" decisamente fuori dagli schemi (!), di "presunto libero arbitrio", di libertà della morale sessuale, dell'etica pubblica e dell'aspirazione etica del singolo, con notevole autonomia di pensiero, serenità, moderazione, autoironia e, se si pensa alla data della lettera anche, con forte lungimiranza.

"[...] A pagina 20 ho trovato un passo che mi sembra quanto mai adatto a me stesso: «Abituarsi a conoscere l'immaturità e l'infanzia prima di procedere allo studio della maturità e della virilità significa spesso abituarsi a una inopportuna limitazione della nostra visuale riguardo allo scopo dell'impresa che affrontiamo».
Riconosco che questo è proprio il mio caso. Non sono all'altezza di giudicare l'altro lato della cosa, ma ho dovuto ricorrere a questa unilateralità per riuscire a vedere ciò che era nascosto e che gli altri sapevano bene come evitare. Questa è la giustificazione per la mia reazione di difesa. Dopo tutto l'unilateralità è servita pure a qualcosa.
D'altra parte il fatto che gli argomenti in favore della realtà dei nostri ideali non abbiano lasciato su di me grande impressione non vuol dire gran che. Non riesco a vedere nessuna continuità tra il fatto che le nostre idee di perfezione abbiano una realtà psichica e la fede nella loro esistenza obiettiva. Lei sa naturalmente quanto poco ci si debba aspettare dalle argomentazioni. Aggiungerei che non ho nessuna paura dell'Onnipotente: se mai dovessimo incontrarci avrei più rimproveri da muovere io a Lui che Egli a me. Gli chiederei perché non mi ha dato migliori prerogative intellettuali, mentre Egli non potrebbe rimproverarmi di non aver fatto il migliore uso possibile del mio presunto libero arbitrio. (Tra parentesi, so che ciascuno di noi rappresenta un frammento di energia vitale, ma non vedo cosa c'entri l'energia con il libero arbitrio, cioè con l'assenza di fattori condizionanti).
Devo dirLe infatti che non sono mai stato soddisfatto delle mie doti e che so esattamente sotto quali aspetti esse sono deficienti, ma che mi considero una persona moralissima, disposta a far sua l'eccellente massima di Th. Vischer: «Ciò che è morale non ha bisogno di dimostrazioni». Quanto a senso di giustizia, a considerazione del prossimo, a desiderio di non far soffrire gli altri e di non approfittare di loro, ritengo di potermi paragonare alle migliori persone che ho conosciuto. Non ho mai fatto nulla di basso o di malvagio e non potendo neanche confessare di averne avuto la tentazione, non ne vado affatto orgoglioso. Sto considerando l'idea di moralità, di cui stiamo parlando, nel suo significato sociale, non in quello sessuale. La morale sessuale così come la definisce la società in generale e quella americana in particolare mi sembra spregevolissima. Io sono per una vita sessuale incomparabilmente più libera, anche se personalmente ho fatto pochissimo uso di tale libertà: solo per quel tanto che io stesso giudicavo lecito.
La pubblicità con cui spesso si pongono richieste di ordine morale mi fa una spiacevole impressione. Quel che ho visto in materia di conversioni etico-religiose non è stato molto invitante. [V'è qui una chiara allusione a Jung].
Vi è comunque un punto sul quale posso essere d'accordo con Lei. Quando mi domando perché mi sono sempre comportato onorevolmente, pronto a risparmiare gli altri e ad essere gentile ogniqualvolta era possibile, e perché non ho smesso di comportarmi così anche dopo aver constatato che in questo modo si nuoce a se stessi e si diventa un'incudine per i colpi degli altri, brutali e indegni di fiducia, rimango effettivamente perplesso. È certo che non è stato un fatto razionale. In gioventù non ho mai provato precise aspirazioni etiche né provo particolare soddisfazione nel concludere che sono migliore della maggior parte degli altri individui. Lei è forse la prima persona con la quale ho fatto questa ammissione. Si potrebbe quindi citare proprio il mio caso in favore della Sua tesi che un impulso verso l'ideale forma una parte essenziale della nostra costituzione. Se solo fosse dato osservare più spesso negli altri una costituzione così pregevole! Dentro di me ho fede che se si disponesse dei mezzi per studiare la sublimazione degli istinti in modo altrettanto esauriente della loro repressione si troverebbero spiegazioni psicologiche assolutamente naturali che renderebbero superflua la Sua ipotesi filantropica. Ma come ho detto non so nulla in proposito. Mi riesce assolutamente incomprensibile per quale ragione io (e tra parentesi anche i miei sei figli grandi) dobbiamo essere persone profondamente pulite..."

[La citazione è tratta da: Ernest Jones, Vita e opere di Sigmund Freud (riduzione a cura di L. Trilling e S. Marcus, trad. it. di Arnaldo Novelletto), Milano, Il Saggiatore, 2000]

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