Imparare ad aspettare
Aspettami qui. Ho un altro appuntamento importante.
Non volevo svegliarti. Dormivi così bene.
Clarissa
HERMANN
Credo che nei secoli passati gli uomini sapessero aspettare meglio. Quando uno andava via impiegava molto tempo ad arrivare. Rivedersi era sempre una cosa incerta. Le madri, erano le madri che restavano a casa ad aspettare. Anni, decenni, tutta la vita. Come mia madre al paese nell'Hunsruck.
Era la prima volta nella mia vita che dovevo aspettare. Una volta avevo detto a Juan: aspettare rende stupidi.
Ma io la amavo davvero.
Quante volte avevo fatto aspettare io le donne, come mia madre.
[...]
Ero in fuga. E pensare che mi ero riproposto di non fuggire mai più.
Fin dall'inizio, nella mia vita, qualcosa era andato in disordine, e cioè da quando erano iniziate le mie fughe.
La cosa che avrei desiderato di più era portare Clarissa nell'Hunsruck... portarceli tutti, tutti gli amici, tutte le mie donne. Che spettacolo sarebbe stato! Quell'odio e quell'invidia, quell'indignazione, quella meschina incomprensione... e quell'angusto terreno fetente che chiamiamo nostro natale.
Caro console Handschuh,
nel mio viaggio sono arrivato là dove ero partito oltre dieci anni fa: nel paese di mia madre.
So che qui non ho nulla da imparare, e non potrò neppure riprendere gli sviluppi iniziati a Monaco.
Ricomincio da zero.
Ciononostante, vorrei accommiatarmi per sempre da lei. La sua fiducia mi ha sconvolto, ma i miei sogni sono diversi.
Quindi, voglio scoprirlo. Vorrei imparare ad aspettare.
Suo Hermann W. Simon
(Die zweite Heimat, episodio n. 13 [Kunst oder Leben])
Non volevo svegliarti. Dormivi così bene.
Clarissa
HERMANN
Credo che nei secoli passati gli uomini sapessero aspettare meglio. Quando uno andava via impiegava molto tempo ad arrivare. Rivedersi era sempre una cosa incerta. Le madri, erano le madri che restavano a casa ad aspettare. Anni, decenni, tutta la vita. Come mia madre al paese nell'Hunsruck.
Era la prima volta nella mia vita che dovevo aspettare. Una volta avevo detto a Juan: aspettare rende stupidi.
Ma io la amavo davvero.
Quante volte avevo fatto aspettare io le donne, come mia madre.
[...]
Ero in fuga. E pensare che mi ero riproposto di non fuggire mai più.
Fin dall'inizio, nella mia vita, qualcosa era andato in disordine, e cioè da quando erano iniziate le mie fughe.
La cosa che avrei desiderato di più era portare Clarissa nell'Hunsruck... portarceli tutti, tutti gli amici, tutte le mie donne. Che spettacolo sarebbe stato! Quell'odio e quell'invidia, quell'indignazione, quella meschina incomprensione... e quell'angusto terreno fetente che chiamiamo nostro natale.
Caro console Handschuh,
nel mio viaggio sono arrivato là dove ero partito oltre dieci anni fa: nel paese di mia madre.
So che qui non ho nulla da imparare, e non potrò neppure riprendere gli sviluppi iniziati a Monaco.
Ricomincio da zero.
Ciononostante, vorrei accommiatarmi per sempre da lei. La sua fiducia mi ha sconvolto, ma i miei sogni sono diversi.
Quindi, voglio scoprirlo. Vorrei imparare ad aspettare.
Suo Hermann W. Simon
(Die zweite Heimat, episodio n. 13 [Kunst oder Leben])
2 Comments:
Non vorrei rovinare la poesia del pezzo ma mi ha fatto venire in mente una cosa: io portavo o forse porto e porterò ancora tutte le persone importanti della mia vita in un parco, in un paesino del fermano (Monterubbiano). Ci sono dei cipressi che formano un cerchio e in mezzo al cerchio, nascosto dagli alberi, un tavolino in cemento. Se ti siedi e guardi in alto vedi solo un cerchio di cielo. Mio nonno mi ci portava sempre, a sua volta, stavamo ore lì seduti, io giocavo con le pigne e scrivevo con le foglie, mi sentivo bene. Per il resto un monte da cui si vede il mare, un borgo medioevale, una grotta, i gatti, le ginestre.
di nuovo strane coincidenze... stamattina l'articolo su Reitz e adesso leggo questo post, anche se era di lunedì... mah :o
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