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Monday, April 30, 2007

Liturgia

Ho finito ieri sera la lettura di un interessante libretto della biblioteca paterna: Keith F. Pecklers, Liturgia. La dimensione storica e teologica del culto cristiano e le sfide del domani. Si tratta di un opera che approfondisce gli aspetti dichiarati dal titolo, facendo un po' di chiarezza sulla complessità dell'argomento trattato. L'autore è un gesuita statunitense, che insegna alla Pontificia Università Gregoriana a Roma e fa il giornalista vaticanista per una stazione radio americana; quindi un "tecnico" specializzato che cerca di spiegare qualcosa di più su un campo di studio in realtà molto recente.
Nell'introduzione dice infatti che come oggetto di studio la liturgia "è ancora un settore relativamente nuovo, giacché ha appena quarant'anni"; prima di tutto, comunque, dichiara di voler definire che cosa sia la liturgia. Se ne occupa l'illuminante primo capitolo, "Liturgia e rito", di cui riporto qualche stralcio.

Il concetto di 'liturgia' è tanto antico quanto la chiesa stessa, con le sue radici saldamente piantate nel giudaismo antico, ma solo nel XX secolo la liturgia è stata riconosciuta in teologia come vero e proprio campo di studio. Negli ambienti cattolici prima del concilio Vaticano II (1962-1965), il culto cristiano (o la liturgia, com'è comunemente chiamato) era spesso associato alle rubriche - quelle note rosse, nei messali e in altri libri liturgici, che danno istruzioni ai ministri su come eseguire i gesti rituali della chiesa -, alla coreografia liturgica. Di fatto, in molti casi - almeno prima del concilio Vaticano II - la liturgia era diventata schiava delle rubriche. Nessuna formazione particolare era richiesta per l'insegnamento della liturgia nei seminari, dal momento che l'unico corso offerto dal curriculum comprendeva poco più delle istruzioni su come celebrare la messa e gli altri sacramenti. Per gli studenti di un seminario cattolico, grande era l'enfasi posta sulla validità del sacramento - sul fatto che il prete celebrasse una messa 'valida', per esempio. Quelle rubriche, istituite al concilio di Trento (1545-1563), non erano certo un tonico per gente eccessivamente scrupolosa, la quale spesso impiegava più tempo preoccupandosi di capire se aveva fatto tutto correttamente o meno (ripetendo le formule liturgiche fino a quando non raggiungeva la convinzione di averlo fatto), che non preoccupandosi di celebrare la messa stessa. Oggi, non è difficile comprendere perché gli osservatori protestanti criticavano duramente questo comportamento ritualistico, per nulla convinti che questo fosse ciò che Gesù aveva in mente alle origini del cristianesimo.

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La cultura occidentale [...] opta in maniera sempre crescente per la convenienza, portando a un impoverimento simbolico e, in definitiva, liturgico: le docce rimpiazzano i bagni, i
fast food rimpiazzano i veri ristoranti, tenerci occupati con il lavoro o con internet rimpiazza il genuino tempo libero e le esperienze di vera comunione umana. Per dire la verità, la maggioranza di noi vive in una cultura che si accontenta della 'riga del totale' quando si tratta di realizzare compiti o di affrontare esigenze, e questo tipo di mentalità può facilmente penetrare nel nostro atteggiamento anche nei confronti della liturgia domenicale. In alcune parrocchie cattoliche durante la messa domenicale si cantano pochissimi versi degli inni, "perché cantare tutte le strofe richiede troppo tempo". Lo stesso argomento è usato per non ammettere i laici a bere dal calice alla santa comunione, perché non è 'pratico' farlo, o per non usare incenso la domenica, per non osservare momenti di silenzio dopo le letture, o per non insegnare alle assemblee come cantare il salmo responsoriale.

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[...] È stato soltanto nel periodo compreso tra la metà e la fine del XX secolo, quando il campo della liturgia si è sviluppato, che alcuni studiosi arrivarono a riconoscere l'importante contributo delle scienze sociali per la propria disciplina accademica e ciò che sarebbe stato possibile imparare dall'antropologia, dalla psicologia e dalla semiotica. Dalla fine degli anni Sessanta, le riforme recentemente realizzate del concilio Vaticano II conseguivano già dei risultati contrastanti. A un'estremità c'era il desiderio di sperimentare le riforme. Ma, poiché era disponibile una formazione o assistenza catechistica davvero scarsa - anche per i vescovi -, quegli esperimenti furono ampiamente discontinui. All'altra estremità c'erano quanti si opponevano energicamente alle riforme; alcuni in questo schieramento accusarono papa Paolo VI di aver distrutto per sempre il culto cattolico. Non furono rari degli scoppi emotivi su entrambi i versanti. Come rispondere a una nuova realtà sociologica? Il mondo e, di fatto, la chiesa erano cambiati e non era più sufficiente fare affidamento unicamente sulla teologia o sulla storia; serviva qualcosa di nuovo - le scienze sociali.

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[...] L'acclamato film
Il pranzo di Babette offre un interessante esempio e ha molto da dire al culto cristiano. Ambientato nella Danimarca del XIX secolo, il film presenta due sorelle, Martina e Philippa, il cui padre era il riverito pastore di una piccola comunità protestante, rigidamente unita, in una cittadina della costa. Nonostante le molte opportunità di lasciare il villaggio, le due sorelle scelgono di restare con il papà e di servire quella comunità. La vita procedeva normalmente finché un giorno una rifugiata politica della rivoluzione francese - Babette - arrivò a cercare alloggio, promettendo di mettersi al loro servizio come governante e cuoca. Qualche tempo dopo la morte del padre, le due sorelle decisero di ospitare una celebrazione per commemorare il centesimo anniversario della nascita del loro padre, dal momento che era stato il fondatore della comunità. Avendo vinto la lotteria francese, Babette insiste per preparare il banchetto. Le sorelle acconsentono, benché segretamente nutrano qualche riserva, essendo lei cattolica e straniera. Quello che segue è un banchetto straordinariamente voluttuoso con ricchi cibi e vini raffinati. Durante il pranzo, con sorpresa di tutti, uno degli invitati riconosce Babette come la famosa chef del Café Anglais di Parigi. Quella comunità puritana è inizialmente scandalizzata per la prodigalità della festa, poiché la loro era una religione sobria e stoica, che concedeva poco spazio alla frivolezza e all'eccesso. Lo scandalo, tuttavia, lascia il posto alla gioia, quando i membri della comunità cominciano a riconciliarsi tra loro per ruggini del passato e chiaramente, come conseguenza, vivono differentemente. Babette, una rifugiata, diventa un'immagine di Dio e consente di intravedere qualcosa del regno di Dio. Essa trasforma le vite delle sorelle, offre da mangiare e da bere agli ospiti, e la vita dell'intera comunità viene cambiata in meglio.
Il pranzo di Babette trabocca di immagini simboliche ed è istruttivo quando consideriamo il potere simbolico della liturgia, specialmente entro il contesto eucaristico. Ma non possiamo penetrare in quella ricchezza solamente mediante l'intelletto e la volontà: abbiamo bisogno di poeti e di artisti che ci assistano. La società occidentale ha molto da imparare dall'Oriente a questo riguardo, perché l'Oriente c'insegna il potere che i simboli hanno di parlare in tutta la loro semplicità. Le parole non riescono a catturare la loro profondità e il loro potere trasformante. Una visita a un giardino zen in Giappone comunica questo potere più eloquentemente. Il culto cristiano - non serve dirlo - è radicalmente differente dal buddhismo zen, ma l'attenzione dello zen per il non-verbale e per il silenzio può essere formativa, se recuperiamo la funzione poetica e simbolica della liturgia cristiana.

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