Revisori dei conti
Oggi sul Sole 24 Ore (p. 25) è apparso un curioso articolo che dimostra come, oltre a tante altre grane che affliggono il sistema legislativo italiano, a far casino ci si metta anche la malcomprensione linguistica. E anche questo "vizio", come la massima parte degli altri, non dipende, se non marginalmente, da difetti strutturali delle istituzioni e del meccanismo burocratico, bensì dalle persone preposte agli incarichi. Comunque, riporto l'articolo; domani forse lo metteranno anche on line, ma siccome non è lunghissimo ci metterò poco e potrò agevolare una lettura anticipata da parte del gentile pubblico! Ho evidenziato in bold i punti più interessanti (à la Beppe Grillo...).
Legge sul risparmio
CONTRORDINE: REVISORI FINO A 12 ANNI
Nel progetto originario la durata dell'incarico doveva scendere da 9 a 6
di Riccardo Sabatini
L'italiano dei legislatori a volte fa miracoli, o meglio, pasticci. Nel caso della regolamentazione sulle società di revisione, incastonata nella recente legge sul risparmio, l'obiettivo iniziale del Parlamento era quello di ridurre la durata massima dei controlli contabili (fino a 6 anni in rapporto agli attuali nove) che una società può svolgere prima di passare il testimone ad un'altra accounting firm. In questa scelta si intravedeva la volontà di recidere quei legami di eccessiva familiarità che, ad esempio, nella vicenda Parmalat avevano favorito l'incapacità dei revisori a scoprire gli imbrogli contabili. Il risultato finale è stato invece opposto, quello di allungare fino a 12 anni lo stesso periodo. Più che di un ripensamento del legislatore, che non si è apertamente manifestato, è stata la conseguenza di un'incertezza linguistica. Ecco com'è andata.
Il 3 marzo scorso la Camera approvò in prima lettura il Dl sul risparmio contenente la riduzione della durata degli incarichi in una forma che non lasciava adito a dubbi. L'incarico di revisione - si affermava - dura fino a sei anni «e non può essere rinnovato se non siano trascorsi almento tre anni». La legge passò al Senato dove il testo, il 12 ottobre, venne modificato in modo quasi impercettibile. «L'incarico - stabilì Palazzo Madama - ha durata di sei esercizi, è rinnovabile una volta sola e non può essere rinnovato se non siano trascorsi almeno tre anni dalla data di cessazione del precedente». Precedente a che? Nella lingua italiana il riferimento non può che essere al primo incarico di sei anni. Ma quella formulazione poteva essere fonte di possibili incongruenze di cui i deputati si resero conto quando l'articolato giunse nuovamente a Montecitorio per l'approvazione definitiva. Un tetto "assoluto" ad un unico rinnovo non è infatti praticabile in un contesto in cui le grandi accounting firm sono 4 in tutto il mondo. Si correva il rischio che, dopo poco più di un ventennio, nessuna grande impresa avrebbe trovato qualcuno a cui rivolgersi per controllare i bilanci. D'altra parte - è stato il ragionamento del Governo e della maggioranza - la legge andava approvata rapidamente senza ulteriori ritardi. Ed è così che il testo è rimasto immodificato ma con un ordine del giorno (approvato dalla Camera con l'appoggio del Governo) che ha ribaltato l'iniziale proposta del legislatore. Impegnando l'Esecutivo ad «adottare le necessarie soluzioni interpretative volte a chiarire, in via transitoria, la possibilità del rinnovo del mandato di revisione per due volte consecutive, fatta salva la necessità che ogni ulteriore mandato non possa essere conferito se non siano decorsi almeno tre anni dalla data di cessazione del precedente». Fatti i conti la durata massima dei mandati di revisione è stata così allungata da 9 a 12 anni.
I revisori, che nel corso dell'iter legislativo avevano espresso preoccupazione su una riduzione eccessiva nella durata degli incarichi, sono naturalmente soddisfatti dell'epilogo. A cose fatte evitano toni trionfalistici. «Dopotutto - sottolinea Alberto Giussani, presidente dell'associazione di categoria Assirevi - l'Italia è l'unico grande paese della comunità a imporre la rotazione delle società di revisione. Quasi dappertutto si preferisce stabilire l'obbligo, dopo un certo periodo, di cambiare il singolo professionista che si è occupato dei controlli contabili in una società. La nuova legge italiana si muove in questo contesto imponendo un obbligo analogo dopo sei anni, in caso di rinnovo dell'incarico alla stessa accounting firm».
Legge sul risparmio
CONTRORDINE: REVISORI FINO A 12 ANNI
Nel progetto originario la durata dell'incarico doveva scendere da 9 a 6
di Riccardo Sabatini
L'italiano dei legislatori a volte fa miracoli, o meglio, pasticci. Nel caso della regolamentazione sulle società di revisione, incastonata nella recente legge sul risparmio, l'obiettivo iniziale del Parlamento era quello di ridurre la durata massima dei controlli contabili (fino a 6 anni in rapporto agli attuali nove) che una società può svolgere prima di passare il testimone ad un'altra accounting firm. In questa scelta si intravedeva la volontà di recidere quei legami di eccessiva familiarità che, ad esempio, nella vicenda Parmalat avevano favorito l'incapacità dei revisori a scoprire gli imbrogli contabili. Il risultato finale è stato invece opposto, quello di allungare fino a 12 anni lo stesso periodo. Più che di un ripensamento del legislatore, che non si è apertamente manifestato, è stata la conseguenza di un'incertezza linguistica. Ecco com'è andata.
Il 3 marzo scorso la Camera approvò in prima lettura il Dl sul risparmio contenente la riduzione della durata degli incarichi in una forma che non lasciava adito a dubbi. L'incarico di revisione - si affermava - dura fino a sei anni «e non può essere rinnovato se non siano trascorsi almento tre anni». La legge passò al Senato dove il testo, il 12 ottobre, venne modificato in modo quasi impercettibile. «L'incarico - stabilì Palazzo Madama - ha durata di sei esercizi, è rinnovabile una volta sola e non può essere rinnovato se non siano trascorsi almeno tre anni dalla data di cessazione del precedente». Precedente a che? Nella lingua italiana il riferimento non può che essere al primo incarico di sei anni. Ma quella formulazione poteva essere fonte di possibili incongruenze di cui i deputati si resero conto quando l'articolato giunse nuovamente a Montecitorio per l'approvazione definitiva. Un tetto "assoluto" ad un unico rinnovo non è infatti praticabile in un contesto in cui le grandi accounting firm sono 4 in tutto il mondo. Si correva il rischio che, dopo poco più di un ventennio, nessuna grande impresa avrebbe trovato qualcuno a cui rivolgersi per controllare i bilanci. D'altra parte - è stato il ragionamento del Governo e della maggioranza - la legge andava approvata rapidamente senza ulteriori ritardi. Ed è così che il testo è rimasto immodificato ma con un ordine del giorno (approvato dalla Camera con l'appoggio del Governo) che ha ribaltato l'iniziale proposta del legislatore. Impegnando l'Esecutivo ad «adottare le necessarie soluzioni interpretative volte a chiarire, in via transitoria, la possibilità del rinnovo del mandato di revisione per due volte consecutive, fatta salva la necessità che ogni ulteriore mandato non possa essere conferito se non siano decorsi almeno tre anni dalla data di cessazione del precedente». Fatti i conti la durata massima dei mandati di revisione è stata così allungata da 9 a 12 anni.
I revisori, che nel corso dell'iter legislativo avevano espresso preoccupazione su una riduzione eccessiva nella durata degli incarichi, sono naturalmente soddisfatti dell'epilogo. A cose fatte evitano toni trionfalistici. «Dopotutto - sottolinea Alberto Giussani, presidente dell'associazione di categoria Assirevi - l'Italia è l'unico grande paese della comunità a imporre la rotazione delle società di revisione. Quasi dappertutto si preferisce stabilire l'obbligo, dopo un certo periodo, di cambiare il singolo professionista che si è occupato dei controlli contabili in una società. La nuova legge italiana si muove in questo contesto imponendo un obbligo analogo dopo sei anni, in caso di rinnovo dell'incarico alla stessa accounting firm».
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