Politiche culturali? Pessime!
Vorrei riportare sul mio blog alcuni passi di un articolo apparso su Classic Voice, nota rivista di "Musica, Teatro & Arte" (così il suo sottotitolo), nel numero di Marzo 2006. Si parla delle disastrose conseguenze dei tagli sui finanziamenti pubblici alle fondazioni musicali italiane operate dalla presente amministrazione governativa. Mi è sembrato, purtroppo, che le cose lì scritte meritassero un'amara riflessione sullo stato di cose che attualmente impera in Italia a proposito dei fatti culturali. Di qualunque tipo, in realtà, ma quelli attinenti alla musica sono ovviamente di mio particolare interesse.
Il canto sospeso
di Silvia Luraghi
Bilanci delle fondazioni lirico-sinfoniche in caduta libera: il taglio al Fondo unico per lo spettacolo del Ministero dei beni culturali (dai 516 milioni di euro della finanziaria per il 2001 ai 385 milioni di quelli per il 2006) ha colpito duramente un settore, quello delle Fondazioni lirico-concertistiche, già penalizzato, che corre il rischio di non riuscire a risollevarsi. Con questi numeri il buco si aggira sui 4-5 milioni di euro per fondazione, sommandosi per alcune ad una situazione già precaria. Risultato: in alcuni teatri saltano titoli della stagione in corso, mentre si profilano riduzioni drastiche per la prossima.
CARTELLONI DA RIFARE
Si paventa l'appiattimento dei cartelloni, con la cancellazione dei titoli più rari e il mantenimento di quelli di cassetta (a Genova salta l'attesa Katia Kabanova di Janàcek con la regia di David Pountney, al Maggio Fiorentino su tre titoli è conservato solo Falstaff, Il naso del centenario Shostakovic e una promettente Salome, diretta da Gatti con la regia di Robert Carsen, si perdono per strada). I tagli arrivano in un momento in cui, a detta dell'Anfols (Associazione Nazionale delle Fondazioni Lirico-Sinfoniche), il sistema operistico italiano scoppia di salute: "Dal 2002 il pubblico della lirica, compresi gli abbonati, è in costante crescita", dice Gennaro Di Benedetto, sovrintendente del Carlo Felice. Perché allora questo taglio? "Non sono un politico e non so quali siano gli scopi del governo, se per esempio quello di ridurre il numero delle fondazioni", continua Di Benedetto, "certo però che se si voleva dimostrare che il sistema non è capace di assorbire una crisi di questo genere lo si è fatto". Walter Vergnano, sovrintendente del Regio di Torino e presidente dell'Anfols, parla di un "attacco alla cultura da parte di un governo privo di una politica culturale". [...]
PAGATI PER NON LAVORARE
[...] nel dicembre scorso [...] pareva che il ministro Buttiglione sarebbe riuscito a convincere Tremonti a ripristinare la quasi totalità del Fus. Non è andata così e Buttiglione non ha trovato di meglio da dire ai sovrintendenti che ridurre le produzioni per far fronte ai costi fissi. In sostanza i dipendenti delle fondazioni andrebbero pagati per non lavorare: suggerimento surreale da parte di un rappresentante dello Stato. [...]
RISCHIO DEBITO
Adesso comunque il problema è ridurre le spese nell'immediato. [Il sovrintendente dell'Opera di Roma Francesco] Ernani dice di aver suggerito al ministro "che si autorizzino i sovrintendenti a fare debiti nel limite del taglio, finché non saranno ripristinati i fondi previsti: era già capitato negli anni '70, poi lo Stato aveva ripianato i disavanzi dei teatri". E se lo Stato non ripianasse? [...]
LO SPONSOR CHE NON C'È
Quanto ai fondi privati, restano al palo, perché la normativa sulle sponsorizzazioni è macchinosa e poco conveniente e, osserva Di Benedetto, "per le aziende, anche quelle che investono in cultura, è più comodo contabilizzare le sponsorizzazioni in altro modo". In sostanza la legge sulla defiscalizzazione non funziona: durante il primo anno della sua istituzione si raccolsero fondi per solo il 17% circa del tetto stabilito e le cose non sono andate meglio in seguito. [...]
NON CI RESTA CHE IL TAGLIO
Resta la possibilità di intervenire a breve sui costi di produzione. La legge Urbani del 2005, per la quale ancora si attende un regolamento, prevedeva il contenimento dei cachet e il riutilizzo delle produzioni che ingombrano i magazzini dei teatri. Si tratta di misure che porterebbero qualche risparmio? Ascoltando gli agenti degli artisti si direbbe che qualche effetto lo potrebbero avere: "Per lo meno per i grandi nomi i cachet in Italia sono più alti che altrove" è il parere di molti addetti ai lavori (e d'altro canto Zubin Mehta ha rilasciato la sconcertante dichiarazione che "in Italia il mio cachet è di 25.000 euro, ma a Vienna per dirigere i Wiener mi accontento di 5000, dato che lì quella è la tariffa"). [...] Quanto al riutilizzo di produzioni già viste o la circuitazione, da questo inizio di stagione pare che molto rimanga da fare. Forse in epoca di vacche magre il Regio di Torino avrebbe potuto evitare di produrre una nuova Aida faraonica. Difficile sostenere che nei primi tre mesi della stagione ci fosse bisogno di tre nuove produzioni di Manon Lescaut (Parma, circuito toscano, Torino). Senza arrivare agli estremi della Staatsoper di Vienna o del Metropolitan, dove le produzioni durano trenta o quarant'anni (lì però si va in scena ogni sera...), qualche riflessione in tema di riutilizzo e coproduzione forse andrebbe fatta.
2006: STAGIONI DIMEZZATE?
Per la stagione prossima la tendenza è quella di presentare cartelloni dimezzati: il clima in alcuni teatri è da ultima spiaggia e molti artisti si sono visti cancellare i contratti, anche se qualche sovrintendente nega minacciando istericamente querele nel caso che le notizie trapelino. Molti sperano che le prossime elezioni politiche portino una svolta. "Voglio vivere in un paese che crede nella cultura" dice Vergnano. "Si tratta solo di aspettare il 9 aprile: ne sono convinto, se no me ne andrei subito". Un'ostilità assai diffusa nei piani alti delle Fondazioni, al di là delle
appartenenze di area.
Che dire... sconfortante, davvero. Se penso che, invece, per le operazioni demagogiche i soldi ci sono sempre... :(
Ricordo a chi si fosse distratto che, quando certi politici pontificano a proposito della capitale importanza dell'Italia come paese di nobile cultura, comunque non si vive nel mondo dei sogni, né tantomeno nel paese di Bengodi, e questo è sotto gli occhi di tutti (anche della Confindustria, fate voi!). Se davvero credono in quanto affermano, ebbene, non vedo perché continuare a sottrarre i meritati fondi pubblici a chi la cultura cerca veramente, sul campo, di proporla; e questo vale specialmente per la musica, in cui è innegabile che l'Italia ha una tradizione del massimo spessore. Altrimenti, son tutte parole per riempirsi la bocca e per riempire le orecchie degli ascoltatori, nulla più.
Il canto sospeso
di Silvia Luraghi
Bilanci delle fondazioni lirico-sinfoniche in caduta libera: il taglio al Fondo unico per lo spettacolo del Ministero dei beni culturali (dai 516 milioni di euro della finanziaria per il 2001 ai 385 milioni di quelli per il 2006) ha colpito duramente un settore, quello delle Fondazioni lirico-concertistiche, già penalizzato, che corre il rischio di non riuscire a risollevarsi. Con questi numeri il buco si aggira sui 4-5 milioni di euro per fondazione, sommandosi per alcune ad una situazione già precaria. Risultato: in alcuni teatri saltano titoli della stagione in corso, mentre si profilano riduzioni drastiche per la prossima.
CARTELLONI DA RIFARE
Si paventa l'appiattimento dei cartelloni, con la cancellazione dei titoli più rari e il mantenimento di quelli di cassetta (a Genova salta l'attesa Katia Kabanova di Janàcek con la regia di David Pountney, al Maggio Fiorentino su tre titoli è conservato solo Falstaff, Il naso del centenario Shostakovic e una promettente Salome, diretta da Gatti con la regia di Robert Carsen, si perdono per strada). I tagli arrivano in un momento in cui, a detta dell'Anfols (Associazione Nazionale delle Fondazioni Lirico-Sinfoniche), il sistema operistico italiano scoppia di salute: "Dal 2002 il pubblico della lirica, compresi gli abbonati, è in costante crescita", dice Gennaro Di Benedetto, sovrintendente del Carlo Felice. Perché allora questo taglio? "Non sono un politico e non so quali siano gli scopi del governo, se per esempio quello di ridurre il numero delle fondazioni", continua Di Benedetto, "certo però che se si voleva dimostrare che il sistema non è capace di assorbire una crisi di questo genere lo si è fatto". Walter Vergnano, sovrintendente del Regio di Torino e presidente dell'Anfols, parla di un "attacco alla cultura da parte di un governo privo di una politica culturale". [...]
PAGATI PER NON LAVORARE
[...] nel dicembre scorso [...] pareva che il ministro Buttiglione sarebbe riuscito a convincere Tremonti a ripristinare la quasi totalità del Fus. Non è andata così e Buttiglione non ha trovato di meglio da dire ai sovrintendenti che ridurre le produzioni per far fronte ai costi fissi. In sostanza i dipendenti delle fondazioni andrebbero pagati per non lavorare: suggerimento surreale da parte di un rappresentante dello Stato. [...]
RISCHIO DEBITO
Adesso comunque il problema è ridurre le spese nell'immediato. [Il sovrintendente dell'Opera di Roma Francesco] Ernani dice di aver suggerito al ministro "che si autorizzino i sovrintendenti a fare debiti nel limite del taglio, finché non saranno ripristinati i fondi previsti: era già capitato negli anni '70, poi lo Stato aveva ripianato i disavanzi dei teatri". E se lo Stato non ripianasse? [...]
LO SPONSOR CHE NON C'È
Quanto ai fondi privati, restano al palo, perché la normativa sulle sponsorizzazioni è macchinosa e poco conveniente e, osserva Di Benedetto, "per le aziende, anche quelle che investono in cultura, è più comodo contabilizzare le sponsorizzazioni in altro modo". In sostanza la legge sulla defiscalizzazione non funziona: durante il primo anno della sua istituzione si raccolsero fondi per solo il 17% circa del tetto stabilito e le cose non sono andate meglio in seguito. [...]
NON CI RESTA CHE IL TAGLIO
Resta la possibilità di intervenire a breve sui costi di produzione. La legge Urbani del 2005, per la quale ancora si attende un regolamento, prevedeva il contenimento dei cachet e il riutilizzo delle produzioni che ingombrano i magazzini dei teatri. Si tratta di misure che porterebbero qualche risparmio? Ascoltando gli agenti degli artisti si direbbe che qualche effetto lo potrebbero avere: "Per lo meno per i grandi nomi i cachet in Italia sono più alti che altrove" è il parere di molti addetti ai lavori (e d'altro canto Zubin Mehta ha rilasciato la sconcertante dichiarazione che "in Italia il mio cachet è di 25.000 euro, ma a Vienna per dirigere i Wiener mi accontento di 5000, dato che lì quella è la tariffa"). [...] Quanto al riutilizzo di produzioni già viste o la circuitazione, da questo inizio di stagione pare che molto rimanga da fare. Forse in epoca di vacche magre il Regio di Torino avrebbe potuto evitare di produrre una nuova Aida faraonica. Difficile sostenere che nei primi tre mesi della stagione ci fosse bisogno di tre nuove produzioni di Manon Lescaut (Parma, circuito toscano, Torino). Senza arrivare agli estremi della Staatsoper di Vienna o del Metropolitan, dove le produzioni durano trenta o quarant'anni (lì però si va in scena ogni sera...), qualche riflessione in tema di riutilizzo e coproduzione forse andrebbe fatta.
2006: STAGIONI DIMEZZATE?
Per la stagione prossima la tendenza è quella di presentare cartelloni dimezzati: il clima in alcuni teatri è da ultima spiaggia e molti artisti si sono visti cancellare i contratti, anche se qualche sovrintendente nega minacciando istericamente querele nel caso che le notizie trapelino. Molti sperano che le prossime elezioni politiche portino una svolta. "Voglio vivere in un paese che crede nella cultura" dice Vergnano. "Si tratta solo di aspettare il 9 aprile: ne sono convinto, se no me ne andrei subito". Un'ostilità assai diffusa nei piani alti delle Fondazioni, al di là delle
appartenenze di area.
Che dire... sconfortante, davvero. Se penso che, invece, per le operazioni demagogiche i soldi ci sono sempre... :(
Ricordo a chi si fosse distratto che, quando certi politici pontificano a proposito della capitale importanza dell'Italia come paese di nobile cultura, comunque non si vive nel mondo dei sogni, né tantomeno nel paese di Bengodi, e questo è sotto gli occhi di tutti (anche della Confindustria, fate voi!). Se davvero credono in quanto affermano, ebbene, non vedo perché continuare a sottrarre i meritati fondi pubblici a chi la cultura cerca veramente, sul campo, di proporla; e questo vale specialmente per la musica, in cui è innegabile che l'Italia ha una tradizione del massimo spessore. Altrimenti, son tutte parole per riempirsi la bocca e per riempire le orecchie degli ascoltatori, nulla più.
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