Walk straight down the middle

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Sunday, December 31, 2006

You'll never know the poetry you've stirred in me

Ricordo che anche Luca Goldoni, in un suo vecchio libro, pubblicò una sua poesia giovanile, dicendo di fare così "un favore" al suo alter ego di trent'anni prima. Sfogliando un po' le mie carte (non di trent'anni fa, un pochino meno... :D ) ho pensato di fare la medesima cosa con questa. Certo, fa un po' sorridere... e poi ti vien la malinconia a pensare che son solo tre anni abbondanti e sembra passata un'eternità. Ma tant'è, ho come l'idea che 'sta sensazione me la tirerò avanti un po' sempre... :)
Ne ho anche delle altre, dello stesso periodo, ma la maggior parte non mi piacciono. E anche di questa, per dirla tutta, non ci capisco quasi più niente... Mah.

Suaviter rides et leniter

(A guisa di madrigale)

Bene, dunque un fine dovevo pur trovare
il modo di celarlo, tra un possibile
gesto gentile, e scevro il dialogo
(per una volta almeno – mi è riuscito?)
da qualsivoglia fiore di parlare.

Nemmeno vedo chiaro ciò che devo
lasciare, una stima essendo improponibile.
Si capisce, fuori misura e fuori sede
lo strano tentativo di afferrare
il filo di tua esile occasione.

Sbaglio del tempo: imperfezione comprensibile,
non comunque sotto questa angolazione.
Di mezzo era qualcosa, e son sicuro.

(per S. C.
23-26.IX.2003)

Videocassette, II

da L'ispettore Derrick, episodio 232 (Di notte, mentre correva a casa)

Gerold Meissner: Ispettore, noi conosciamo nostro fratello. Vede, lui non sarebbe mai capace di un atto del genere. La mia opinione è che l'omicida sia uno degli amanti. Al posto di Jacob io l'avrei mandata al diavolo, quella donna.
Stephan Derrick: Questo però suo fratello non l'ha fatto. E io posso anche dirvi il perché.
Gerold Meissner: Sono ansioso di saperlo.
Stephan Derrick: Quella fra vostro fratello e sua moglie non è una storia di morte: è la storia di un amore vero.
Gerold Meissner: Di una... cosa?
Stephan Derrick: Sì, ha capito bene. È la storia di un amore vero, anche se, lo ammetto, di un genere un po' particolare.
Gerold Meissner: Una storia d'amore? Con una donna che passava così da un letto all'altro? No, non può parlare sul serio. Andava con chiunque. Chiunque, chiunque poteva averla!
Stephan Derrick: Già, a quanto pare.
Gerold Meissner: Non "a quanto pare": era così!
Stephan Derrick: Sì, era così.
Gerold Meissner: E l'assassino è senz'altro uno degli amanti. Le sembra tanto strano?
Stephan Derrick: No, potrebbe anche essere esatto. Ma potrebbe essere sbagliato.

[...]

Harry Klein: Stephan, hai affermato una cosa sorprendente: che quella tra Meissner e la moglie era una storia d'amore.
Stephan Derrick: Sì.
Harry Klein: Una storia d'amore con una donna che... che tradiva per abitudine?
Stephan Derrick: Sì. Harry, c'è una cosa che non sai. Quell'uomo ha descritto la moglie usando queste precise parole: 'Mia moglie era una donna fondamentalmente infelice. Lei vedeva la vita come se fosse un nemico del quale aver paura e pensava di poter vincere questo nemico con i suoi eccessi'. Lui l'aveva capito, ma aspettava che lei capisse da sola che quando la vita è un nemico non può essere vinta con degli eccessi! E che, anzi, è sprecata! E quindi, ogni volta, aspettava che tornasse a casa. [...]

Videocassette, I

da Ecce Bombo (Nanni Moretti, 1978)

Michele: Pure con quella bestia di scenografo hai fatto l'amore. Ci ha tre figli. La moglie sta a casa, con i figli, lavora, e lui fa il cinema. Fa il cinema e scopa... E sai cosa dice agli amici? Mica dice: 'Abbiamo fatto l'amore, abbiamo scopato, siamo andati a letto'. Sai come dice? 'Me la sono scopata'. Così parlano, tra loro. Capito? Tu sarai ricordata dai suoi amici così: quella lì me la sono scopata. E mi sudano le mani, mi sudano! Dove l'avete fatto?
Silvia: In albergo.
Michele: Camera tua o camera sua?
Silvia: Sua.
Michele: E dopo ti volevi ammazzare.
Silvia: Perché? Mi andava!
Michele: Ti andava, ti andava! Ma che senso ha, che senso! Dopo l'hai rivisto?
Silvia: No, dopo il film no.
Michele: Piangi, eh? Piangi forte! Piangi parecchio! Così andiamo uno pari con quello lì dell'altro giorno, eh!
Silvia: Abbracciami. Forte!
Michele: Piccola, perché piangi? Perché sono un grande artista?


Edit (1/1/2007): incredibalcibali, di questa scena c'è anche il video su Youtube! Assieme ad alcuni altri spezzoni di Ecce Bombo, che tra l'altro, a quanto ho sentito, ri-esce in versione restaurata... :

Saturday, December 30, 2006

Bel questionario

Che poi non è un questionario... l'ho trovato sul blog di Briglia, che poi linkerò a dovere assieme a quello di Moa. Grazioso... prendete pure, se volete. Mi sento, stamani, di buon animo, nonostante tutto... perciò lo compilo di buon grado.

...l'ultima volta che hai...

sorriso: sera di Natale (maybe)
riso: sera di Natale
pianto: beh, piango ormai abbastanza di rado... comunque mentre suonavo e canticchiavo Vacant al piano
ballato: sfortunatamente, non so ballare... :(
guardato il tuo film preferito: e qual è il mio film preferito? :D

...ultima cosa per tutto..

ultimo libro letto: Fabio De Propris, Brenda e Plotino
ultimo film visto: Il piccolo diavolo, giù da Ntxeon
ultima canzone sentita: questa è ovvia, leggete il post precedente -> These walls dei DT
ultima cosa bevuta: latte stamani a colazione
ultima doccia: ieri pomeriggio
ultima cosa mangiata: biscotti col latte (vedi sopra)

......ma tu.....

fumi? no
hai una ragazza? no
hai un sogno ricorrente? non ho sogni ricorrenti, ho paure ricorrenti
credi nella vita negli altri pianeti? no, anche se ammetto che, in linea teorica, non sarebbe una cosa impossibile
leggi il giornale? sì, quelli di mio padre
credi nei miracoli? sì
credi di essere tollerante? tollerante non mi piace come termine, ma per spiegarlo mi ci vorrebbe un post dedicato. Preferirei dire che mi sforzo tutti i giorni di essere comprensivo verso gli altri.
hai una caramelle preferita? boh, le pastiglie Leone?
credi nell'astrologia? no
credi nella magia? no
credi in Dio? sì
vai in chiesa? sì
porti cappelli? devo aver portato un copricapo sì e no tre o quattro volte in tutta la mia vita
hai piercing? no
hai tatuaggi? no
odi te stesso? no, mi svaluto soltanto molto e ho poca fiducia in me. Non posso odiare me stesso.
hai un'ossessione? Vedi la risposta del sogno ricorrente
hai una cotta segreta? sì
collezzioni qualcosa? non più (dato che i dischi, per quanto siano parecchi, non li conto come collezione)
hai un migliore amico? migliori amici se ne trovano pochi nella propria vita, e la vita spesso te li porta lontano
speri nelle stelle cadenti? curiosamente, non ne ho mai vista una... sarà per quello che così pochi dei miei desideri si realizzano? :D
ti piace la tua calligrafia? non molto
hai brutte abitudini? e chi non ne ha...

.....io.......

io vedo: "vedo... vedo... MAIALO MOLTO SETOLOSO... PELOSO... eh... CINGHIALO!"
io voglio: l'erbavoglio non cresce nemanco nel giardino del re. Si dice: "io vorrei" oppure "io desidero".
io ho: "I don't have anything / since I don't have you" (Guns 'n' Roses... ma era una cover non ricordo più di chi)
io spero: di star meglio (come direbbe Vasco: "vivere / e sperare di star meglio")
io odio: ogni manifestazione di un male volontario
io ho paura: di rimanere da solo, di ammalarmi, di morire, di perdere le persone care
io non avrei mai il coraggio di: non lo so... mai dire mai, a quanto dicono
mi sento triste quando: non so neanche io definire la circostanza in cui mi sento triste. Mi sento tale, e basta.
mi sento felice quando: qualcuno, sinceramente e spontaneamente, fa qualcosa di gentile per me.
io ascolto: io provo ad ascoltare chiunque mi venga a parlare
io cerco: sicurezza e qualche risposta
io rimpiango: tutto sommato non ho grandi rimpianti, se non quello di non aver studiato musica per diventare un professionista (ma sono sempre in tempo... :)
io sono: un tipo un po' strano?
io non sono: sicuro di me stesso, se non riguardo a pochissime cose
io ballo: no, sfortunatamente
io canto: non molto bene... non ho una bella voce, né per parlare né per cantare... :(
io piango: raramente, devo stare veramente male
io litigo: soprattutto in famiglia
io scrivo: musica (ci ho provato!)
io vinco: passiamo alla domanda successiva...
io ho bisogno: nella vita mi "accontenterei" di poche cose... che però sono importantissime, e quindi il verbo "accontentarsi" è giocoforza virgolettato.

Tear down these walls for me

Ho cercato un po' su internet se vi fossero eventuali commenti a These walls dei Dream Theater (da Octavarium). Volevo chiarirmi il senso del testo. Probabilmente su qualche forum se ne parla, ma vai a trovare dove...
L'idea che mi sono fatto è che sia una canzone che parla di amicizia e di che cosa voglia dire la profondità di questo sentimento. Insomma... vorrei che qualcuno che ne sa di più mi chiarisse 'sta cosa (Sammy, for instance?). Nel frattempo, idealmente e in occasione della fine dell'anno, vorrei dedicare questo brano a tutti i miei amici.

These walls

This is so hard for me
to find the words to say
my thoughts are standing still.
Captive inside of me
all emotions start to hide
and nothing's getting through

Watch me
fading;
I'm losing
all my instincts
falling into darkness.

Tear down these walls for me,
stop me from going under.
You are the only one who knows I'm holding back.
It's not too late for me
to keep from sinking further.
I'm trying to find my way out.
Tear down these walls for me now.

So much uncertainty...
I don't like this feeling.
I'm sinking like a stone.
Each time I try to speak
there's a voice I'm hearing
and it changes everything.

Watch me
crawl from
the wreckage
of my silence.
Conversation failing.

Tear down these walls for me,
stop me from going under.
You are the only one who knows I'm holding back.
It's not too late for me
to keep from sinking further.
I'm trying to find my way out.
Tear down these walls...

Every time you choose to run away
is it worth the price you pay?
Is there someone who will wait for you
one more time,
one more time?

C'è anche un link su Youtube, per avere un'idea potete guardare il video (qualità videocamera digitale, audio ovviamente non ottimo ma sufficiente).

Sunday, December 24, 2006

Accentate pt. II

In risposta a gentil richiesta, dò la norma ortografica italiana per l'uso degli accenti gravi o acuti. In realtà, la questione è semplicissima; la spiego di seguito.
L'accento italiano è in prevalenza grave, e lo si può notare anche guardando la tastiera del personal computer: si trovano i tasti per battere direttamente à, è, ì, ò, ù. Questo è abbastanza ovvio per i casi in cui non si distingue il grado di apertura (à, ì, ù). Per quanto riguarda la ò, sarebbe da distinguere se è all'interno di due parole omografe con significato differente a seconda dell'accento (cioè nei casi per cui l'apertura vocalica ha valore distintivo). Se ne può fare anche a meno. L'obbligo di segnar l'accento sussiste invece per le parole tronche, ma lì è sempre grave, e quindi ci riconduciamo al caso di cui sopra.
L'unica coppia di accenti a cui bisogna fare attenzione è quella è / é. Siccome anche qui l'accento tonico in centro parola non si segna se non in casi di effettiva ambiguità (ma il contesto dovrebbe sempre permettere di distinguere, chessò, tra le coppie séguito/seguìto o dècade/decàde...), il problema si ha per le solite parole ossitone. Allora, la mia regola personalissima è: accento acuto per le parole in -ché (ebbene sì: "perché", "affinché", "poiché", "giacché" eccetera si pronunciano, secondo standard, con accento acuto... alla faccia di certe zone del nord Italia... ;) ), per "né" congiunzione e "sé" pronome tonico, nonché (... notato? :D ), qualora dovesse servire (è un po desueto) per "fé" ("fede" oppure "fece", verbo... ma non c'è coerenza tra gli editori, che in vario modo scrivono anche "fe'" con l'apostrofo. È sottinteso che, in tutti gli altri eventuali casi di é chiusa in parole ossitone, si scriverà così... ma devono essere casi rari, non me ne sovviene nessuno. Per i restanti casi, la maggioranza, l'accento è grave (si avrà dunque "è" voce del verbo essere, "tè", "caffè" e via dicendo).
Pertanto, se volete scrivere correttamente secondo l'ortografia italiana, la prossima volta che battete al computer la é di parole come "né", "sé" o "perché"... beh, insomma, ci siamo capiti. E, del resto, se avete Word ve le corregge lui... ma almeno saprete perché (per l'appunto! :D ) lo fa! ;)
Tutto chiaro? Spero di sì...
Riferimento: la consueta e classica grammatica della serie "Garzantine" (Luca Serianni, Italiano. Grammatica, sintassi, dubbi, Garzanti, 1997 - questo testo è CONSIGLIATISSIMO per tutti!), pp. 38-44. Detto per inciso, il Serianni sostiene, con buona ragione, che ortograficamente non ha senso l'eccezione di "sé" scritto senza accento nel caso di "se stesso", e invita pertanto a scrivere comunque "sé stesso", "sé medesimo" e così via. Per cui, se da piccoli a scuola la maestra vi ha corretto con sgraffio rosso cose di questo tipo, mettetevi il cuore in pace: avevate ragione voi... :D

Saturday, December 23, 2006

Award!

I Magenta, gruppo gallese di cui, come senz'altro ricorderete, sono un grande fan (!!!) hanno vinto l'Italian Prog Award per il miglior album straniero! Home ha battuto, nella classifica stilata dai relatori dei maggiori siti italiani che si occupano di prog rock, gente del calibro di David Gilmour, Alan Stivell, Devin Townsend, i Tool e i Toto.
Vi posto i link delle nomination e della classifica finale.
Piazzamento eccellente anche nella categoria "Miglior incisione": secondi!
Beh, niente male. Per chi ancora non li conosce, sul sito ci sono anche dei brani da scaricare (ovviamente la qualità è artificialmente ridotta, ma il senso dei brani quello è... ;) ).


Per i dubbiosi, ecco anche King of the skies dal vivo, courtesy Youtube! ;) (peccato che, come sovente accade, il sync vada a farsi benedire... :D )

Wednesday, December 20, 2006

Senso civico

Encomiabile iniziativa di una città tedesca: gli 80.000 abitanti di Delmenhorst, per evitare che un gruppo neonazista trasformasse un vecchio albergo in un loro centro di propaganda, si sono comprati lo stabile mediante sottoscrizioni, mostre, concerti e via dicendo. Ci sono voluti 3 milioni di euro, ma ce l'hanno fatta.
QUESTO significa avere senso civico.
Ecco qui, per riferimento, la nota Adnkronos.

Maiuscole accentate

Ecco un punto per cui i sistemi Linux (almeno, la Gentoo di cui mi servo io viaggia così) battono senza tèma di smentita Windows (non posso pronunciarmi su Vista, ma fino a XP dovrebbe andar così): di default permettono l'inserimento delle maiuscole accentate mediante il semplice e logico procedimento:

1. inserire il blocco maiuscole
2. battere l'accentata come si farebbe per farla minuscola
(3. togliere il blocco ;) )

Comodissimo! Con Windows bisogna ricordarsi tutti i codici e, se non si ha il tastierino numerico come accade sulla maggior parte dei portatili, bisogna cercare il Bloc Num che non è esattamente comodissimo sempre e comunque. E in ogni caso se uno non ha molta testa per i numeri, sarà ben più difficile ricordare Alt+0200, Alt+0192 e via dicendo!
Così vengono fuori degli obbrobri grammaticali (chi li commette, pur se fosse il mio migliore amico, non se la prenda ma faccia immediata ammenda e corregga le sue abitudini! :p :p :p) del tipo:

E' giunto il momento (= *"EGLI giunto il momento" :D :D)
GIU' LE MANI (= GIULIANO le mani???? - letta su un manifesto di Forza Italia... scegliere o controllare un po' meglio le tipografie, dìosanto, almeno quello!)

E adesso mi diverto: vai con le accentate. Ci ho messo 5 secondi netti.

ÒÀÈÉÌÙ

Faust e altre cose

Ecco una cosa a cui non avevo pensato: il Faust non ha senso... Che, detta così, è inquietante come prospettiva. La lettura di Enrico Remmert (che non è né teologo né filosofo, ma romanziere...), pur col tono scherzoso, è abbastanza illuminante... nel senso che mi ha fatto riflettere, ridacchiando, su 'sta cosa. Lascio la parola a lui, senz'altro.

"Ad esempio, prendi il Faust: non ha senso. Nel momento in cui vendi la tua anima diventi sicuro della sua immortalità, perciò cosa te ne frega della vita terrena? Mefistofele lo manderesti subito a quel paese, ringraziandolo per la certezza che ti ha finalmente dato."
Cristina ti sfiora la guancia con una mano e dice: "Vittorio, tu sei tutto scombinato nel cervello", e ti sorride con dolcezza.
State finendo di cenare nella trattoria di Gaspare, dietro i mercati generali. Milo si è alzato mezz'ora fa e - accertatosi che tu, come sempre, avessi due caschi sulla Vespa - ti ha chiesto se potevi accompagnare a casa Cristina. Tu hai annuito e così lui le ha dato un veloce bacio sulla guancia, ha detto con tono misterioso che aveva da fare ed è sparito.
Gaspare vi sta preparando un altro di quei suoi intrugli da alchimista ammazzafegato: limoncello più "blu di Gaspare", più "furore di Prussia". Porta al tavolo due bicchierini da vodka in cui i liquori si sono depositati a strati, senza mischiarsi: giallo in basso, rosso al centro e poi blu. Sei certo che da qualche parte - probabilmente in cantina - Gaspare nasconda un laboratorio segreto, pieno di alambicchi, dove ricerca la Pietra Filosofale, quella che trasforma ogni metallo in oro, e l'Intruglio Definitivo, quello che ti fa cadere in trance al primo sorso.
Tiri giù il bicchierino in un sol colpo e, dopo qualche secondo, prendono fuoco contemporaneamente labbra, bocca, esofago e stomaco. Fai una smorfia di dolore e riprendi a parlare: "Prendi Adamo ed Eva e la faccenda della mela e del peccato originale. È una storia che fa acqua da tutte le parti. Ma quale peccato originale? In nessun sistema giudiziario esiste che tu paghi per le colpe di un altro. Anzi in certi paesi sì: i genitori pagano per i reati commessi dai figli minorenni. Ecco: lì il colpevole per la faccenda della mela sarebbe stato dio in persona. Vedi, anche questa storia fa acqua, fa acqua da tutte le parti."
"Non me ne intendo di queste faccende. Mai andata bene in catechismo" scherza Cristina.
Tu le sorridi: "Ma sono importanti. Prendi l'inferno, ad esempio, la punizione eterna. Andiamo, se io fossi dio, l'inferno non l'avrei neanche potuto immaginare, mi sembra una cosa troppo da bastardi. E vuoi dire che io sono più buono di dio?"
Cristina si tira giù il bicchierino in un sorso e fa una smorfia e diventa rossa e ti guarda, ha le pupille lucide come i bottoni di un cappotto.
Tu prosegui: "La verità, Cristina, è che tutte queste storie sono in contraddizione e fanno acqua da tutte le parti. Anzi, il mondo intero è stato congegnato perché tutto sia in contraddizione e faccia acqua da tutte le parti... e non solo... è stato congegnato in modo che la vita stessa insegni a ciascuno cose diverse, spesso contrapposte, e tutte quante inesplicabilmente valide."
Cristina scuote la testa: "Non ti seguo più, Vittorio..."
"Neanch'io, se è per questo" rispondi. "Sto farneticando. È colpa degli intrugli di Gaspare."
Cristina annuisce.

Enrico Remmert, La ballata delle canaglie, Venezia, Marsilio Editori, 2002 (pp. 140-141)

(avrei voluto mettere le bellissime riflessioni finali del libro... ma nel caso qualcuno se lo voglia leggere - cosa che consiglio - mica mi posso prendere la responsabilità di fare intuire come termina la storia... :o )
"Salute, soggetti"!

Wednesday, December 13, 2006

Super Timor

Qual è la miglior pubblicità mai realizzata? :D :D :D
Per chi non l'avesse ancora vista, viene dalla Costa d'Avorio e pubblicizza un insetticida, il Super Timor.
L'ingresso del "quarto uomo" è uno dei momenti più comici che mi sia mai capitato di vedere... :D
Da notare che il Super Timor ha fatto anche un'altra pubblicità... ridicola anche quella, ma non all'altezza della prima!
Quello che non tutti (me compreso!) possono comprendere al primo ascolto è la profondità poetica del testo del jingle, che qui riporto:

Super Timor est encore plus fort
avec sa nouvelle formule.
Le temps de sentir l'odeur Super Timor
les insectes sont deja mort!

(il testo completo, mossa per mossa, a questo indirizzo)

AVERNE, in Italia, di pubblicitari così! :D :D :D

Tuesday, December 12, 2006

Tra

A quale delle seguenti serate gradireste maggiormente essere invitati/e?

  • ORCHESTRA SINFONICA NAZIONALE DELLA RAI
    Rafael Fruhbeck De Burgos (ommioddìo, lui in persona!!!), direttore

    W. A. Mozart
    - Serenata notturna in Re maggiore KV 239 per due piccole orchestre
    - Sinfonia concertante in Mi bemolle maggiore KV 297b (bellissima)
    - Sinfonia n. 41 in Do maggiore KV 551 "Jupiter"

  • ORCHESTRA SINFONICA NAZIONALE UCRAINA DI KIEV (molto bravi)
    Volodimir Syrenko, direttore
    Vittorio Bresciani, pianoforte solista

    F. Liszt
    - Poema sinfonico n. 3 "Les Prèludes"
    - Fantasia su temi ungheresi per pianoforte e orchestra

    M. Mussorgsky
    - Quadri di un'esposizione (trascrizione per orchestra di M. Ravel)

???????????????????

Saturday, December 09, 2006

Once in royal David's city

Ispirato da un post di GloriaMundi, ma dato che la riflessione qui presente si discosta un po' da quello che in fondo era l'argomento centrale del suo post, faccio anch'io una riflessioncina sul Natale prossimo venturo.
Potrei definirla una mini-suggestione spiritual-musicale, se non fosse che la definizione sarebbe alquanto pesantina e, come tale, censurabile (HA! Che figura retorica, seppure un po' modificata, ho adoperato nella frase precedente? 100 punti - de che? - a chi indovina...). La musica, ovviamente, c'entra sempre (e come potrebbe essere altrimenti per il sottoscritto? No, beh, volendo posso anche occuparmi d'altro, non credetemi a tal punto monotematico... un po' sì, lo ammetto, ma non così tanto!).
Tutti gli anni quando Natale si avvicina, a differenza di molte persone mi sento abbastanza sul tristanzuolo andante. Potreste pensare che siano un po' i soliti inflazionati motivi: che è una festa commerciale, che del significato religioso non gliene frega niente a nessuno (ehi, a ME interessa! :o ), che è un'ipocrisia dire siamo tutti più buoni eccetera. La verità è che questi motivi, seppur anche condivisibili per certi versi, sono tutti "di testa", ma il motivo vero per cui mi sento in questo modo... non lo so! Sta proprio nascosto da qualche parte e non son mai riuscito a capirlo.
Magari è solo una condizione interiore derivante dalla situazione specifica che uno vive... se essa ha dei tratti negativi o, per meglio dire, insoddisfacenti, il Natale fa un po' da cassa di risonanza e amplifica questa carica negativa. Se uno invece ha motivo di essere contento di sé e degli altri che lo circondano, suppongo (mi manca la verifica sperimentale...! :D ) che funzioni in maniera speculare e queste gioie vengano accresciute.
Comunque proprio non lo so. Tutto lì. Bella menata, eh?
Bene, finita la parte "teoretica". :D Comincia la parte musicale.
Una delle canzoni più indicative e illuminanti sul Natale è A christmas song dei Jethro Tull (scritta, ovviamente, da Ian Anderson ;) ):

Once in a royal David's city
stood a lonely cattle shed,
where a mother held her baby,
you'd do well to remember the things He later said.


When you're stuffing yourselves at the Christmas parties,
You just laugh when I tell you to take a running jump;
you're missing the point I'm sure does not need making,
that Christmas spirit is not what you drink.

So how can you laugh when your own mother's hungry,
And how can you smile when the reasons for smiling are wrong.
And if I just messed up your thoughtless pleasures,
Remember, if you wish, this is just a Chrismas song.

Hey, Santa, pass us that bottle will you?

Per un commento approfondito sul significato della canzone (che però appare già abbastanza chiaro), obbligatoria la visita alla relativa pagina di Cupofwonder.com (da cui ho tratto anche il testo stesso).
A me non resta che affermare la condivisione dei pochi, sintetici ma chiarissimi concetti espressi da Anderson in questo frangente. Non ho proprio granché da aggiungere.
Ora, il commento filologico (o pseudo-tale)! ;)
In A Christmas song si adoperano i primi tre versi di una celebre e molto graziosa carol natalizia, Once in royal David's city, di cui Ian cita il tema con il flauto a mo' d'introduzione, per poi sovrapporvi l'accompagnamento del brano vero e proprio. Così la citazione è, in un certo senso, sdoppiata nelle sue due componenti (melodica e testuale).
L'andamento della canzone stessa, a ben vedere, ricorda molto da vicino le carole natalizie, pur con l'evidente, soffusa aura di malinconia che pervade il brano.
Una versione di A Christmas song si può trovare su YouTube, ma l'originale è meglio. Questo passa il convento, tuttavia. Anche la voce di Ian Anderson, bontà sua, non rende più come una volta. Ma è sempre un grandissimo, nulla da dire. :)
Sempre suYouTube, ecco una Once in royal David's city tipicamente "British" (con tanto di bambino solista all'inizio... : : : )... ma rende l'idea, inzomma. ;) E poi, ovviamente, non può mancare la partitura "a 4". Nel caso qualcuno se la volesse suonare, giusto per entrare nello spirito natalizio... : :)

Friday, December 08, 2006

La ragazza ardita

Ho riletto La chiave a stella di Primo Levi. Gran libro, e se già me n'ero accorto la prima volta che l'ho letto, beh, che dire, impressione confermata e rafforzata. La sensibilità dell'autore nel trovare la poesia autentica anche nelle situazioni più inconsuete e inaspettate (meccanica, chimica, ingegneria...) è qui presente al massimo grado. C'è per esempio il brano che vado a proporre: ogni volta che lo rileggo ho sempre, stranamente, "una specie di bruciacuore", come direbbe (e dice!) Faussone...

Nella dolce luce del tramonto avevamo preso la via del ritorno, lungo un sentiero appena segnato nel folto della foresta. Contro ogni sua abitudine, Faussone si era interrotto, e camminava silenzioso al mio fianco, con le mani dietro la schiena e gli occhi fissi al suolo. L'ho visto due o tre volte prendere fiato e aprire la bocca come se stesse per ricominciare a parlare, ma sembrava indeciso. Ha ripreso solo quando eravamo ormai in vista della foresteria.
"Vuole che gliene dica una? Per una volta, quel caposervizio aveva ragione. Aveva quasi ragione. Era vero che su quel lavoro c'erano delle difficoltà, che non si trovava il materiale, che il commendatore, sì, quello dei salami, invece di darmi una mano mi faceva perdere tempo. Era anche vero che non c'era uno dei manovali che valesse due soldi; ma se il lavoro veniva avanti malamente, e con tutti quei ritardi, la colpa era anche un po' mia. Anzi, era di una ragazza".
Lui, veramente, aveva detto "'na fija", ed infatti, in bocca sua, il termine "ragazza" avrebbe suonato come una forzatura, ma altrettanto forzato e manierato suonerebbe "figlia nella presente trascrizione. La notizia, comunque, aveva del sorprendente: in tutti gli altri suoi racconti Faussone aveva posto il suo vanto nel presentarsi come un refrattario, un uomo dagli scarsi interessi sentimentali, uno, appunto, "che non corre appresso alle figlie", ed a cui le figlie invece corrono dietro, ma lui non se ne cura, si prende questa o quella senza darle peso, se la tiene finché dura il canitere e poi le saluta e parte. Mi sono fatto attento e teso.
"Sa, sulle ragazze di quelle terre si raccontano un mucchio di storie, che sono piccole, grasse, gelose, e buone solo a fare dei figli. Quella ragazza che le dicevo era alta come me, coi capelli castani che erano quasi rossi, dritta come un fuso e ardita come ne ho viste poche. Portava il carrello a forche, anzi, è proprio così che ci siamo incontrati. Accosto al nastro che io stavo montando c'era la pista per i carrelli: ce ne passavano due giusti giusti. Vedo venire giù un carrello guidato da una ragazza, con un carico di profilati che sporgeva un poco, e in su venire un altro carrello vuoto, anche quello guidato da una ragazza: chiaro che incrociarsi non potevano, bisognava che uno dei due facesse marcia indietro fino a uno slargo, oppure che la ragazza dei profilati posasse il carico e lo sistemasse meglio. Niente: si piantano lì tutte e due e cominciano a dirsene di tutte le tinte. Io ho capito subito che fra di loro ci doveva essere della ruggine vecchia, e mi son messo lì con pazienza a aspettare che avessero finito: perché anch'io dovevo passare, avevo uno di quei carrellini che si guidano dal timone, carico dei famosi cuscinetti, che Dio liberi se avesse dato il giro e il mio caposervizio lo avesse saputo.
Basta, aspetto cinque minuti, poi dieci, niente, quelle continuavano come se fossero state in piazza. Litigavano nel loro dialetto, ma si capiva quasi tutto. A un certo punto io mi sono fatto sotto, e gli ho chiesto se per piacere mi facevano passare: quella più grande, che era poi la ragazza che le dicevo prima, si volta e mi fa tutta tranquilla: "Aspettate un momento, non abbiamo ancora finito"; poi si gira verso quell'altra , e così, a sangue freddo, gliene tira giù una che non oso ripetergliela, ma le giuro che mi ha fatto venire i capelli all'umberta. "Ecco", mi fa, "ora passate pure", e dicendo così se ne parte a marcia indietro a tutta velocità, facendo la barba alle colonne, e anche ai montanti del mio nastro, che io mi sentivo venire freddo. Arrivata che è stata al corridoio di testa, ha preso la curva che neanche Nichi Lauda, sempre a marcia indietro, e invece di guardarsi dietro mi guardava me. "Cristo", penso io tra di me, "questa è un diavolo scatenato": ma l'avevo già bell'e capito che tutto quel cine lo faceva per me, e poco tempo dopo ho anche capito che lo faceva apposta, a fare tanto la malgraziosa, perché era diversi giorni che mi stava lì a guardare mentre che io mettevo le mensole in bolla d'aria..."
L'espressione mi suonava strana, ed ho chiesto un chiarimento. Faussone, impermalito, mi ha spiegato in poche parole dense che la bolla d'aria è solo una livella, che appunto ha dentro un liquido con una bolla d'aria. Quando questa coincide con il contorno di riferimento, la livella è orizzontale, e lo è anche il piano su cui la livella appoggia.
"Noi diciamo soltanto per esempio 'metti quel supporto in bolla d'aria', e ci capiamo fra di noi; ma mi lasci andare avanti, perché la storia della ragazza è più importante. Insomma, lei aveva capito me, cioè che a me mi va la gente decisa e che sa fare il suo mestiere, e io avevo capito che lei, alla sua maniera, mi stava dietro e cercava di attaccare discorso. Poi l'abbiamo attaccato, il discorso, non c'è stata nessuna difficoltà, voglio dire che siamo andati a letto insieme, tutto regolare, niente di speciale; ma ecco, una cosa gliela volevo dire: che il momento più bello, quello che uno si dice 'questo non me lo dimentico mai più, finché vengo vecchio, finché tiro gli ultimi', e vorrebbe che il tempo si fermasse lì come quando un motore s'ingrippa: bene, non è stato quando siamo andati a letto, ma prima. È stato alla mensa della fabbrica del commendatore: ci eravamo seduti vicini, avevamo finito di mangiare, parlavamo del più e del meno, anzi, mi ricordo perfino che io le stavo raccontando del mio caposervizio e della sua maniera di aprire le porte, e ho tastato la panca alla mia destra, e c'era la sua mano, e io l'ho toccata con la mia, e la sua non se n'è andata e si lasciava carezzare come un gatto. Parola, tutto il resto che è venuto dopo è stato anche abbastanza bello, ma conta di meno".
"E adesso?"
"Ma insomma, lei vuole proprio sapere tutto", mi ha risposto Faussone, come se a chiedergli di raccontare la storia della carrellista fossi stato io. "Cosa vuole bene che le dica: è un tira e molla. Sposarla, non la sposo: primo per il mio mestiere, secondo perché... sì, insomma, prima di maritarsi uno bisogna che ci pensi sopra quattro volte, e prendersi una ragazza come quella, brava, poco da dire, ma furba come una strega, bene, non so se mi spiego. Ma neanche a metterci una pietra sopra e a non pensarci più non sono buono. Ogni tanto vado dal mio direttore e mi faccio mandare in trasferta in quel paese, con la scusa delle revisioni. Una volta è piombata qui a Torino, in ferie, con addosso i blugins tutti stinti sui ginocchi, in compagnia di un ragazzo di quelli con la barba fino negli occhi, e me l'ha presentato senza fare una piega: e neanch'io l'ho fatta, una piega; sentivo come una specie di bruciacuore, qui alla bocca dello stomaco, ma non le ho detto niente perché i patti erano quelli. Però lo sa che lei è un bel tipo a farmi contare queste storie, che fuorivia di lei non le avevo mai contate a nessuno?"

(Primo Levi, La chiave a stella, Torino, Einaudi, 1978)

Tuesday, December 05, 2006

In un angolo

Oggi ho capito perché quando vado da solo al bar a bere qualcosa (nel 70% dei casi un the caldo) tendo quasi sempre, se possibile, a sedermi nei tavoli d'angolo. Mi ha influenzato (un po' troppo? :D ) The saxophone song di Kate Bush. L'inizio dice (vado a memoria):

You'll find me in a Berlin bar,
in a corner, brooding.
You know that I go very quiet
when I'm listening to you...

Eccetera.
Beh, questo quando sono da solo, dicevo. Se sono in compagnia di una graziosissima donna (come direbbe Boccaccio... : ) lascio ovviamente scegliere. Se sono con gli amici, la cosa è indifferente.
Ok, finito il delirio pomeridiano. :)

Monday, December 04, 2006

Imparare ad aspettare

Aspettami qui. Ho un altro appuntamento importante.
Non volevo svegliarti. Dormivi così bene.
Clarissa

HERMANN
Credo che nei secoli passati gli uomini sapessero aspettare meglio. Quando uno andava via impiegava molto tempo ad arrivare. Rivedersi era sempre una cosa incerta. Le madri, erano le madri che restavano a casa ad aspettare. Anni, decenni, tutta la vita. Come mia madre al paese nell'Hunsruck.
Era la prima volta nella mia vita che dovevo aspettare. Una volta avevo detto a Juan: aspettare rende stupidi.
Ma io la amavo davvero.
Quante volte avevo fatto aspettare io le donne, come mia madre.
[...]
Ero in fuga. E pensare che mi ero riproposto di non fuggire mai più.
Fin dall'inizio, nella mia vita, qualcosa era andato in disordine, e cioè da quando erano iniziate le mie fughe.
La cosa che avrei desiderato di più era portare Clarissa nell'Hunsruck... portarceli tutti, tutti gli amici, tutte le mie donne. Che spettacolo sarebbe stato! Quell'odio e quell'invidia, quell'indignazione, quella meschina incomprensione... e quell'angusto terreno fetente che chiamiamo nostro natale.

Caro console Handschuh,
nel mio viaggio sono arrivato là dove ero partito oltre dieci anni fa: nel paese di mia madre.
So che qui non ho nulla da imparare, e non potrò neppure riprendere gli sviluppi iniziati a Monaco.
Ricomincio da zero.
Ciononostante, vorrei accommiatarmi per sempre da lei. La sua fiducia mi ha sconvolto, ma i miei sogni sono diversi.
Quindi, voglio scoprirlo. Vorrei imparare ad aspettare.
Suo Hermann W. Simon

(Die zweite Heimat, episodio n. 13 [Kunst oder Leben])

Friday, December 01, 2006

Il più grande bassista del mondo


Avrebbe oggi 55 anni esatti. Ci lasciò invece nel 1987, in seguito a un brutale pestaggio da parte di un buttafuori di un locale, che lo sfigurò e lo ridusse in fin di vita. Jaco Pastorius era forse veramente, come lui (senza falsa modestia, evidentemente!) "il più grande bassista del mondo". Tecnica, groove, musicalità, ottime doti da compositore... Basta prendere il classico Word of mouth, suo secondo album solista, e il tutto risulterà chiaro... Ma anche ascoltare i sempreverdi album dei Weather Report su cui ha suonato (Heavy Weather su tutti, con la gemma Teen town) può dare un'idea di chi si sta parlando.
Sarebbero dunque 55 anni oggi per un'artista tanto stellare quanto tormentato, con i suoi disturbi psichici e la dipendenza da alcool e droghe. Di sicuro sarà sempre ricordato per la sua musica e per il suo inimitabile modo di conoscere e far letteralmente cantare il proprio strumento.
Valga per tutti un solo tratto da un suo video didattico (dove però stava già messo parecchio male... : ), in cui si capisce ottimamente come sapesse tenere in piedi il ritmo sottintendendo l'armonia e mantenendo comunque sempre interessante la linea di basso. Il tutto con un "tiro" e una precisione... beh, non c'è che dire.